(Tratto dal mio libro: "La Piramide e i segreti del 137", di prossima uscita)
Tahuantinsuyo, nell’antica lingua quechua, è il nome usato
per indicare l’impero Inca, uno dei più estesi del continente sudamericano,
ancor più di quello azteco e maya. I sovrani precolombiani, infatti, regnarono
su un’area geografica che comprendeva – nel 1532 d.C., ovvero nel momento più
florido e di massima espansione – gli stati della Colombia, dell’Ecuador, del Perù,
della Bolivia, del Cile e dell’Argentina. Un territorio vastissimo abitato da
molteplici comunità differenti tra loro. Tra esse, il gruppo etnico Q’eros ha
acquisito un’importanza straordinaria per la qualità delle antiche tradizioni
di cui era custode. Uno dei racconti più affascinanti - consegnati alla
tradizione orale - si riferisce al mito della fondazione della capitale
dell’Impero, la spettacolare Cuzco, di cui ci rimangono vestigia davvero
formidabili.
I Q'eros - che sono considerati discendenti diretti
dell’autorevole casta sacerdotale Inca - fuggirono nelle impervie zone interne
del Perù, per salvarsi dallo sterminio perpetrato durante l’invasione spagnola
e, con loro portarono tutto ciò che erano riusciti a salvare
dall’inqualificabile furia devastatrice iberica.
Il mito della fondazione di Cuzco rappresenta una matrice davvero
interessante, soprattutto per la particolarità delle circostanze narrate. I
racconti sono pervenuti fino ai nostri giorni, grazie allo scrittore peruviano Garcilaso
de la Vega[1],
soprannominato dagli spagnoli El Inca, a causa dei suoi tratti somatici,
conseguenza dell’unione tra il padre spagnolo e la madre inca.
Lo scrittore ispano-peruviano, nel 1609 - dopo essersi
stabilito definitivamente in Spagna - scrisse i famosi “Commentari reali degli
Inca”, basati sulle storie raccontate dalle popolazioni del posto durante il
suo soggiorno nella capitale Cuzco. I fatti narrano dell’eroe Manco Capac –
figlio di Inti, il dio sole – chiamato a fondare la nuova capitale dell’Impero.
“C’era un tempo in cui, nelle regioni vicine al Lago
Titicaca, gli esseri umani vivevano in condizioni molto simili a quelle delle
bestie, senza leggi né religione e senza un’organizzazione amministrativa che li
tenesse uniti come un solo popolo. Così, il dio Inti impietositosi della
condizione in cui versava la sua nazione, decise di inviare i due suoi figli, Manco
Capac e Mama Ocllo, per aiutare gli uomini. Essi ebbero il compito di trovare
una terra fertile dove fondare la capitale del nuovo grande impero. Però,
perché i due giovani sovrani potessero trovare il luogo esatto dove edificare
la capitale, Inti consegnò loro un bastone d’oro che si sarebbe conficcato nel
terreno solo nel punto esatto dove fondare la città. Manco Capac e Mama Ocllo, partirono
dal Lago Titicaca e decisero di dirigersi a Nord. Lungo il percorso, tentarono
più volte di sondare il terreno per conficcarvi il bastone, ma con esiti sempre
negativi. Dopo giorni di cammino, si diressero verso Iciò, nella speranza di
trovare la terra dove far sorgere la nuova capitale. Si fermarono presso il
monte Huanacauti e fu proprio lì che il bastone donato dal dio Inti si conficcò
nel terreno all’ennesimo tentativo. I due figli di Inti capirono che quello era
il luogo dove avrebbero dovuto erigere la nuova capitale dell’impero Inca,
Cuzco, e per questo radunarono le popolazioni delle regioni vicine che
accorsero in moltitudine, riconoscendo nei due eroi non solo la loro regalità
ma anche la loro divinità, in quanto figli del dio Inti”.
Ho voluto far riferimento a questo episodio, poiché contiene
una serie di elementi molto singolari, a cominciare dallo strumento che viene
donato dal dio Inti al proprio figlio, un oggetto che ha una funzione
determinante nella localizzazione del punto esatto dove realizzare la capitale
dell’impero. Il bastone d’oro utilizzato dal futuro sovrano è uno strumento
ricorrente nelle iconografie antiche, soprattutto nella raffigurazione degli
dèi che maneggiano questi oggetti come manifestazione del proprio potere. Nella
cultura dominante - proprio in ragione delle teorie ufficiali sulle quali si
basa la scienza, anche archeologica - il bastone impugnato dagli antichi dèi è
entrato a far parte della natura delle cose, ovvero ha assunto la funzione di
un assioma sul quale non c’è nulla da eccepire. Infatti, gli scettri che
includono come simbologia anche i bastoni, erano considerati simboli di dominio
secolare ed emblema del potere divino in tutte le culture post diluviane ed
erano in uso al sovrano, alle divinità e ai sacerdoti. Tuttavia, nessuno si è
mai chiesto da cosa potesse derivare la cultura dello scettro, o bastone, del
potere divino. E se l’antico strumento avesse un’origine ancora più remota ed
una funzione ben precisa, successivamente perduta?
La lettura del mito della fondazione di Cuzco propone una
serie di indizi, particolarmente intriganti che derivano da due considerazioni
di base:
- l’aver dovuto percorrere circa 500 chilometri, dal lago
Titicaca fino a Cuzco, senza trovare un punto in cui il bastone si conficcasse
nel terreno;
- la particolare fattura del bastone che è completamente in
oro.
Immaginiamo, solo per un attimo che la leggenda narrata sia
realmente accaduta, quindi siamo in presenza di una storia vera. Ed
immaginiamo, i due protagonisti girovagare per il Perù nella speranza di
trovare un posto corrispondente alle esigenze prestabilite.
E’ ipotizzabile che, su una distanza così ampia, non siano
riusciti a trovare un luogo dove il bastone d’oro potesse penetrare nel terreno?
Cosa stavano cercando, in realtà, i due futuri sovrani? Quale correlazione si
potrebbe realizzare tra il bastone d’oro e l’area dove sorge Cuzco?
Nel 2012, a Potenza, si è svolto il 31° Convegno organizzato
dal GNGTS (Gruppo Nazionale di Geologia della Terra Solida) sulla geodinamica,
riguardante non solo la nostra penisola, ma anche altre aree del Pianeta.
Nell’occasione, alcuni ricercatori italiani, dell’Università Federico II di
Napoli, hanno presentato una relazione dal titolo “Alterazioni di rocce
tonalitiche nel deposito AM-PB di Yanque (Cuzco – Perù)[2].
La relazione traccia un’indagine - riferita ad un’area
geografica ben delimitata, all’interno della quale sorge anche la città di
Cuzco – sulla tipologia della composizione di rocce e sulla relativa formazione
nel corso delle ere geologiche. Il punto maggiormente interessante si può
riassumere – ai fini del mio lavoro di ricerca – nel seguente estratto:
“Su questo deposito [riferito all’area dove sorge Cuzco, n.d.a.] è stato eseguito un rilievo magnetico, che
ha messo in evidenza diverse anomalie. Alcune di queste sono associate con
rocce magnetiche affioranti in superficie, altre sono probabilmente dovute a
rocce magnetiche sepolte. Tali anomalie presentano la tipica forma dipolare
delle anomalie presenti nelle zone equatoriali, per avere una migliore
localizzazione delle sorgenti si è quindi calcolato ed interpretato il segnale
analitico. Tale trasformazione monopolare, infatti, permette una più precisa
localizzazione spaziale delle sorgenti di anomalia. Poiché la forte alterazione
della porzione più superficiale delle rocce esposte, ha cancellato la
magnetizzazione delle rocce, studiando le anomalie magnetiche, ed in particolar
modo stimando la profondità delle sorgenti è possibile ottenere una stima dello
spessore della coltre superficiale alterata.
I ricercatori hanno individuato delle anomalie nello studio
della conformazione delle rocce che presentano una caratteristica dipolare,
ovvero relativo a un sistema che presenta due cariche opposte nei due poli,
l’uno in superfice l’altro nelle profondità del sottosuolo.
Pertanto, si può notare che l’area dove sorge la capitale
presenta una caratteristica molto particolare, ovvero è una zona in cui il
magnetismo è particolarmente intenso, o “anomalo”, come definito nella
relazione dei ricercatori dell’Università partenopea.
Poiché lo studio è stato realizzato tenendo presente
l’analisi sulla formazione delle rocce nel corso delle ere geologiche, si può
anche sostenere che il fenomeno magnetico è una caratteristica molto antica,
poiché risale all’origine stessa dell’area. Quindi, se dovessimo ipotizzare che
la storia della fondazione di Cuzco sia vera, possiamo affermare che anche a
quel tempo, il fenomeno magnetico era più che consolidato.
Si può sostenere, quindi, che il bastone d’oro potesse avere
una connessione con la conformazione rocciosa rilevata a Cuzco e zone
circostanti, reagendo in presenza di un campo magnetico?
In fisica esiste un fenomeno, scientificamente osservato,
noto come diamagnetismo[3].
Si tratta di una forma di magnetismo propria di tutti i materiali in presenza
di un campo magnetico. La caratterizzazione del fenomeno consiste nella
magnetizzazione inversa rispetto al campo magnetico e quindi i materiali
vengono debolmente respinti. Nell'esperienza comune tra le sostanze che hanno
comportamento diamagnetico troviamo l'acqua, la maggior parte delle sostanze
organiche e pochissimi metalli, tra cui l’oro.
Pertanto, se la storia di Manco Capac fosse vera, il bastone
d’oro ricevuto in dono, avrebbe avuto una funzione fondamentale per rilevare
un’area ad elevata intensità magnetica, dove costruire la nuova capitale
dell’Impero.
Il mito di Cuzco nasconde tra le proprie righe tracce di una
tecnologia occulta? La sua storia si riferisce ad eventi realmente accaduti in
epoche remote? Se solo per un attimo, rendessimo estranee alla nostra mente
tutte le teorie che ci sono state insegnate in questi decenni e, al tempo
stesso, focalizzassimo l’attenzione sulla storia narrata, ci renderemmo conto
che la differenza tra mito e storia deriva da un’interpretazione puramente
soggettiva, soprattutto quando viene proclamata in totale assenza di prove e
generando tesi contrapposte.
Si potrebbe, viceversa, eccepire che la preminenza tra le
due ipotesi, andrebbe riconosciuta alla teoria non accreditata in ambito
ufficiale, per il semplice motivo che essa si fonda sulla concretezza di un
fenomeno regolarmente osservato in Fisica. Pertanto, il collegamento tra Cuzco
e il magnetismo terrestre, nonché tra il bastone d’oro e la scelta dell’area
dove costruire la città, si realizza nella misura in cui la capitale sorge in
un’area specifica del Pianeta, individuata grazie ad un oggetto che si integra
alla perfezione con un determinato processo fisico.
Lo si voglia accettare o meno, questo è l’unico dato
incontrovertibile che deriva dall’indagine sulle origini del mito Inca. Ogni
altra osservazione è frutto di una personale interpretazione che esula da
qualsiasi modello scientifico di investigazione, poiché privo di qualsivoglia reperto
che la dimostri.
L’excursus in terra mesoamericana non è casuale, poiché gli
eventi narrati - siano essi leggendari o reali - rappresentano un elemento di
comparazione che coinvolge, indirettamente, la Piana di Giza.
Come per la storia di Manco Capac, anche Cheope e lo stesso
Chefren, custodiscono – tra i geroglifici che compongono il loro nome Horo –
alcuni indizi che potrebbero assumere la funzione di prove, se analizzate in
un’ottica totalmente differente.
La “potenza” che i faraoni manifestano attraverso il loro
nome, sembra avere un saldo legame con la funzione originaria delle Piramidi.
Un indizio straordinario, come vedremo inseguito, è stato
scoperto da un ingegnere americano, Tom Danley, il quale – a conclusione di un
progetto di ricerca molto complesso – ha dimostrato che la Piana di Giza e, in
particolare, la Grande Piramide, sorgono in un’area dove il campo magnetico
terrestre è “anomalo”, per usare il medesimo termine dei geologi della Federico
II. L’anomalia riscontrata, a prescindere dalla grandezza fisica, dimostra che
anche il complesso piramidale sorge in un’area con peculiarità simili a quelle
rilevate nell’area di Cuzco.
E’ possibile che si tratti di un progetto originario
realizzato dalla medesima mano creatrice?
E’ un’eventualità che va presa in serissima considerazione,
poiché i reperti egizi tendono, univocamente, in una direzione ben definita.
La Grande Piramide e la Seconda, nelle memorie degli Egizi
dinastici, erano considerate fonte di potere; gli utensili adoperati dagli dèi
Egizi ricordano, per funzione, quelli inca; gli edifici di Giza sorgono in aree
con caratteristiche simili a quelle peruviane. Tante coincidenze non possono
passare inosservate. Lo scopo della ricerca è proprio quello di risalire alla
funzione originaria della Piana di Giza, attraverso lo studio dei reperti e
della documentazione proveniente dall’antica civiltà del Nilo. La comparazione
con le esperienze provenienti da altre civiltà, ad altre latitudini,
rappresenta un elemento di confronto straordinariamente importante, poiché avvalora
la correlazione tra popoli che - pur non avendo mai avuto contatti diretti -
manifestano palesemente influenze culturali che si originano da un medesimo
retaggio, la cui fonte primaria è quasi svanita del tutto.
Un esempio macroscopico è offerto dall’indagine sugli
utensili degli dèi Egizi e dall’osservazione delle scene riprodotte nei
bassorilievi realizzati sulle mura delle cripte del tempio della dea Hathor a
Dendera.
Come vedremo, il messaggio tramandato è molto inquietante.
[1]
Garcilaso de la Vega, “La Historia General del Perú”, 1617 - Editorial Vda. de Andrés Barrera e Hijos,
Ciudad Córdoba
[2]
Alterazioni di rocce tonalitiche nel deposito AM-PB di Yanque (Cuzco – Perù):
Geologia and Geomagnetismo. Ialongo1, N. Mondillo1, M. Boni1, G. Florio1, M.
Fedi1e V. Arseneau 21Dipartimento Scienze della Terra, Università Federico II,
Napoli, Italy 2 Consultant, Mendoza, Argentina.
[3]
Dizionario delle scienze fisiche e matematiche, Zanichelli Ed. Scienza.