Lo studio ha mostrato che l’Egittologia – per quanto attiene la questione Giza – ha adottato molteplici forzature che restituiscono un’immagine dell’Antico Regno decisamente falsata rispetto alle evidenze archeologiche.
L’esigua disponibilità di reperti, per quanto sia fortemente condizionante, non giustifica una ricostruzione delle società del tempo piena di forzature e difforme dalla pura oggettività. L’Egittologia propone argomentazioni in totale contraddizione con le meraviglie della Scienza, immortalata nei complessi monumentali. Le teorie ufficiali, dunque, sono caratterizzate da eccessive incongruenze per poter essere accolte nella loro totalità.
Anzi, può sembrare una contraddizione, ma esse rappresentano un ulteriore spunto per approfondire lo studio sul passato remoto di Giza, a causa della totale impossibilità di poter spiegare la maestosità delle opere realizzate, rispetto alle Conoscenze maturate tra il 5.100 ed il 2.200 a.C.
L’ipotesi empirica sbandierata dagli egittologi risulta, ampiamente ingiustificabile, poiché è dimostrato che gli Egizi dinastici non avevano maturato le condizioni necessarie per poter applicare complesse nozioni di geometria, matematica, astronomia, fisica per realizzare le piramidi.
Esse sono strutture che – per la loro edificazione - richiedono ben altre conoscenze. E’ chiaro, ormai, che solo la piena conoscenza delle scienze e la relativa sperimentazione, avrebbe consentito alla Civiltà del tempo di poter realizzazione un’opera di tale portata.
Purtroppo, gli Accademici si ostinano a percorrere derive concettuali che precludono qualsiasi confronto che possa contribuire – nelle forme e nei modi scientificamente plausibili – alla ricostruzione delle dinamiche che hanno caratterizzato il periodo storico tra i più oscuri della nostra specie.
Pertanto, è giunto il momento di stabilire con determinazione che una civiltà sostanzialmente primitiva – così come riconosciuto dagli stessi egittologi e pienamente inserita nell'età del rame – non avrebbe potuto sistemare - una sopra l’altra - circa 21 milioni di tonnellate di pietre, in poco più di un secolo, di cui 12 milioni solo sulla Piana Giza.
Inoltre, le perfette simmetrie astronomiche, la totale conoscenza delle caratteristiche geofisiche del pianeta, l’applicazione ingegneristica di valori matematici, quali il (pi-greco) ed il (phi-greco), spingono l’attenzione in altre direzioni, per risolvere uno dei misteri più complessi della storia.
Ricostruire con precisione le fasi che hanno portato alla realizzazione dei monumenti, significa aprire una finestra anche sui risvolti esoterici che le simbologie rappresentano. I progettisti le hanno consegnate all’architettura di Giza, rendendole accessibili solo ad una ristretta casta di iniziati che perpetuano, nel tempo, la loro preservazione.
E’ giunto, quindi, il momento di incamminarci verso la Teoria della Datazione Storica dello Zep Tepi, partendo dalla certezza che le opere monumentali sono state edificate in un’epoca molto remota.
Pertanto, al fine di conseguire un risultato accettabile – che soddisfi scientificamente la teoria - ho impostato la ricerca seguendo schemi diametralmente opposti rispetto a quelli tradizionali; un’inversione di tendenza che, alla luce dei fatti, si offre come un vero e proprio obbligo morale verso se stessi, nel pieno rispetto del nostro passato remoto!
L’associazione tra ricerca archeologica e indagine multidisciplinare, ha aperto una breccia fondamentale che ha permesso di individuare – non solo le inesattezze delle teorizzazioni proposte – ma anche la strada per arrivare ad un’esaustiva interpretazione dei misteri del tempo. L’approccio tecnico ha permesso di garantire una legittima razionalità alle costruzioni di Giza, piegando l’inconsistenza delle dottrine imperanti e veicolando una piccola fetta di ortodossi ad esercitare una maggiore attenzione alle innovative tesi della “nouvelle vague”!
Nella storia dell’Egittologia, molti ricercatori hanno proposto particolari tesi per giustificare le caratteristiche tecnico-scientifiche dei monumenti edificati sulla piana di Giza.
Uno dei più importanti egittologi della storia contemporanea, Sir William Flinders Petrie, ha proposto per primo le importanti correlazioni matematiche e geometriche presenti nella costruzione della Grande Piramide. Ed è proprio all’eminente egittologo che si deve l’accurato studio che ha portato a definire, “di areazione”, la funzione dei condotti realizzati nelle cosiddette Camere del Re e della Regina.
Le sue osservazioni possono essere considerate, senz’altro, propedeutiche, poiché dai suoi studi sulle peculiarità geometriche e matematiche dei monumenti, si sono sviluppate le prime ipotesi sull’eventuale correlazione tra Grande Piramide - e più in generale del complesso di Giza - con le stelle della Costellazione di Orione. I suoi studi hanno stimolato alcuni ricercatori ad azzardare che, questi monumenti, potessero essere dei veri e propri osservatori astronomici.
Queste ipotesi sono state confortate dallo studio degli autori classici, i quali hanno testimoniato la capacità dei sacerdoti egizi di osservare la dinamica astronomica degli astri nelle fasi notturne, così da determinare i calendari, i cicli lunari e il sopraggiungere degli equinozi e dei solstizi.
I primi convincimenti che le piramidi di Giza fossero in correlazione con gli astri, si manifestano nel corso del XIX secolo e, sono ispirate, dalle osservazione dell’archeologo americano Martin Isler, il quale si era convinto del fatto che il perfetto allineamento dei monumenti ai punti cardinali, non era altro che un sistema per migliorare al massimo i punti di osservazione astronomica.
Queste convinzioni furono considerate “pura eresia” dai suoi colleghi archeologi, fin quando - nella seconda metà del secolo scorso - lo studio sulla correlazione astronomica del sito, diventa un punto fondamentale dal quale partire per conoscere le capacità scientifiche della perduta Civiltà delle Piramidi.
L’astronoma americana Virginia Trimble e l’egittologo Alexander Badawy, negli anni sessanta, sono riusciti a dimostrare che il Condotto Sud della Camera della Regina era precisamente “indirizzato” verso la Cintura di Orione, in un periodo compreso tra il 2.600 ed il 2.400 a.C. Badawy giunse alla conclusione che il condotto sud puntava deliberatamente sulla costellazione, per permettere all’anima del Faraone di intraprendere il viaggio celeste verso la Regione della Duat.
Si trattò di una scoperta sensazionale che apriva la strada ad una nuova interpretazione del Mistero di Giza, fino ad allora imprigionato negli stereotipi classici dell’Egittologia.
Essa, tuttavia, fu completamente ignorata, fin quando - all’inizio degli anni ’80 – fu cautamente ripresa dal prof. I.E.S. Edwards che, con particolare discrezione, cominciò ad approfondirne i contenuti.
Si stava aprendo, così, un nuovo modo di concepire l’egittologia: non più strenuo ed anacronistico processo di ricerca - incentrato solo ed esclusivamente sulla lettura della “pietra” - bensì un’analisi a 360°, corroborata dal costante confronto con la multidisciplinarietà, nello sforzo estremo di entrare in frequenza con una cultura antica, custode di un profondo Sapere.
Lo studio di Trimble e Badawy ha ispirato Robert Bauval e molti altri “indipendenti” che - dall’ingegnere nato ad Alessandria d’Egitto - hanno attinto per integrare la ricerca archeo-astronomica.
Ma anche esperti del calibro di Scwhaller de Lubicz, Jane B. Sellers, Selim Hassan, Samuel Alfred Browne Mercer e Giorgio de Santillana hanno reso un contributo notevole allo sviluppo di questo innovativo percorso di ricerca. I loro studi hanno creato un notevole imbarazzo alla comunità scientifica, ma al contempo, hanno dato impulso ad una “rivoluzione culturale” che ha determinato nuovi standard nell’approccio allo studio delle civiltà antiche e, di quella egizia in particolare.
Il filosofo e storico Schwaller de Lubicz sosteneva - in una delle sue opere più note, “Le Miracle égyptien”, scritta a Parigi nel 1963 - che i veri depositari delle Scienze erano gli Egizi, i quali - sulla via del tramonto - decisero di tramandare ai Greci le loro conoscenze scientifiche. Un pensiero dirompente, per la cultura dell’epoca, che non esitò a guardare con sospetto il concetto di “Scienze” adoperato dall’illustre studioso francese.
Il contributo di Giorgio de Santillana e di Hertha von Deschend è stato importantissimo, poiché per la prima volta, il Mito è stato interpretato in tutta la sua ermetica simbologia astronomica, ponendo in evidenza la centralità del ciclo della Precessione degli Equinozi nelle antiche culture. “Il mulino di Amleto” – pubblicato nella sua prima edizione, nel 1969 - ha avuto un effetto ancora più esplosivo sulla comunità accademica ortodossa.
Altrettanto importante, è stato il contributo dell’archeologa Jane B. Sellers la quale, attraverso un approfondito studio sui Testi delle Piramidi, ha dimostrato come – tra i misteriosi geroglifici - sono richiamati precisi elementi di astronomia.
Secondo la studiosa americana:
“la conoscenza dell’astronomia antica rappresenta uno strumento fondamentale per poter capire la storia delle culture, delle architetture sacre e delle religioni nella loro evoluzione storica e nelle tradizioni mitiche dell’Antico Egitto”.
Inoltre, la Sellers ha, apertamente, sostenuto l’ipotesi secondo la quale gli antichi egizi avevano imparato a calcolare la Precessione degli Equinozi, seppur non l’avevano compresa da un punto di vista scientifico (in questo caso, adeguandosi all’ipotesi empirica proposta in ambito accademico, n.d.a.).
Le puntualizzazioni della Sellers assumono un valore importantissimo, poiché rappresentano una pietra miliare nell’evoluzione delle posizioni ortodosse, verso orientamenti più inclini ad un approccio multidisciplinare dello studio delle civiltà remote.
Il contributo di Selim Hassan e di Samuel A. B. Mercer ha stravolto i canoni della religione egizia. Con questi autorevoli ricercatori vengono introdotti i primi concetti che aprono ad una concezione stellare della religione, collegandola alle dinamiche astronomiche, attraverso complessi rituali “destinati a rivalutare la funzione sacra della rinascita dopo la morte”.
Infine, Robert Bauval ha assimilato e sviluppato, efficacemente, gli studi dei suoi predecessori.
Egli ha saputo concentrare, in una nuova proposizione, decenni di approfondimenti sulla religione cosmica egizia, sviluppando la sua Teoria della Correlazione tra le Piramidi maggiori di Giza e le stelle della Cintura di Orione, partendo da una semplicissima osservazione che ripropongo in tutta la sua importanza:
“Esse sono inclinate in direzione sud-ovest lungo una diagonale relativa all'asse della Via Lattea, e le piramidi sono inclinate in direzione sud-ovest lungo una diagonale relativa all'asse del Nilo. Se si guarda attentamente in una notte serena si vedrà anche che la più piccola delle tre stelle, quella situata in alto che gli arabi chiamano Mintaka, si trova leggermente spostata a est rispetto alla diagonale principale formata dalle altre due. Questo disegno è riprodotto sul terreno dove riscontriamo che la Piramide di Micerino si trova spostata esattamente nella misura giusta a est rispetto alla diagonale princi-pale formata dalla Piramide di Chefren (che rappresenta la stella centrale, Alnilam) e la Grande Piramide, che rappresenta Alnitak. Risulta evidente che tutti questi monumenti furono posizionati se¬condo una pianta generale modellata con straordinaria precisione su quelle tre stelle... Ciò che realizzarono a Giza fu di costruire la Cintura di Orione sul terreno”.
Graham Hancock ha perfettamente sintetizzato questo momento magico; il tentativo riuscito, da parte dei progettisti, di trasmettere una conoscenza davvero stupefacente delle arti e delle scienze, della dottrina teologica e della filosofia, in una forma geometrica-architettonica senza precedenti.
La Teoria di Bauval – nonostante tutto – continua ad essere avversata senza opporre concrete eccezioni; considerata un ricettacolo di clamorose coincidenze, è stata condannata all’ostracismo senza appello, in ragione di uno scriteriato dominio della Casta che non ammette deroghe. A nulla valgono le dimostrazioni scientifiche che confermano processi completamente diversi da quelli convenzionalmente imposti.
Eppure, le piramidi non sono solo edifici e non hanno solo una funzione pratica. Esse sono testimonianza di Sapere e di Ritualità, che assecondano – forse per la prima ed unica volta, nella storia dell’uomo – l’integrazione tra Scienza e Fede.
Estratto da: “Il Segreto degli Dèi”, di Armando Mei, Amazon 2015
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